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Modernità, umanesimo, violenza

(apparso su "Presenza Sociale", 1989)

 di Paolo Dell'Aquila

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E' opinione diffusa, in genere, che la modernità sia l'epoca in cui la libertà, la tolleranza, e la razionalità sono finalmente fiorite. Questa immagine non tiene conto dello stesso spirito di questa epoca e dei pericoli di autodistruzione che la percorrono.

L'incipit dell'era moderna è infatti segnato dal diffondersi di un umanesimo antropocentrico, volto a porre l'essere umano come metro dell'azione e della conoscenza. E' l'individuo che, a partire da Cartesio, decide cosa è significativo nel mondo, che può trovare la legge fondamentale dell'esistenza. E' il soggetto (sub-iectum, ciò che sta sotto alle configurazioni accidentali) che diventa la misura dell'universo e il principio del suo dominio. Grazie alla Ragione, l'uomo potrà scoprire tutte le leggi fondamentali della natura e disporne a suo piacimento. Heidegger, in Sentieri interrotti (La Nuova Italia) ha dimostrato che il porre l'uomo al centro del mondo ha prodotto una matematizzazione della natura, divenuta cosa inerte da sfruttare.

Il compito della conoscenza, allora, è rendere l'universo calcolabile, per poterlo poi plasmare secondo il volere umano. Ciò spiega l'emergere della scienza moderna, che rende la natura una macchina prevedibile e la pianifica ricorrendo alla tecnica. La ragione moderna è una ragione strumentale, che fa delle cose e degli essere umani dei mezzi per realizzare il proprio fine: la manipolazione totale. La Dialettica dell'illuminismo di Horkheimer e Adorno (Einaudi) è la dimostrazione più celebre del progetto moderno di ridefinire le cose in base al loro astratto valore, espresso in termini quantitativi e numerici. Ciò che conta è soprattutto l'efficienza, la calcolabilità delle cose.

L'umanesimo antropocentrico fa della razionalità oggettivante il suo fine ultimo. Da qui nasce anche l'ideologia del progresso: tutto dovrà essere sempre più illuminato dalla luce manipolatoria della ragione strumentale, affinché la civiltà avanzi. La libertà, l'emancipazione dall'atteggiamento pre-moderno di contemplazione e rispetto delle cose, diviene il valore guida della modernità. Come ha fatto notare G. Morra (Dio senza dio, Japadre), la teologia si secolarizza. Al posto dei vecchi déi si pongono utopie mondane e il futuro viene privato del suo significato escatologico.

Alla fine l'uomo diviene un ingranaggio di un processo storico più ampio di lui e a cui gli è preclusa la partecipazione. La volontà del singolo è eliminata per asservirlo ad un soggetto collettivo superiore: l'universale. L'individuo deve piegarsi alla "volontà generale", all'ente collettivo, allo stato.

A partire da Robespierre e Rousseau, e dal profetismo calvinistico trasmessoci da costoro, l'individuo diviene una mera espressione di un ente superiore, un meccanismo che può essere rappresentato come "storia", "socialità", "bene comune", o in tanti altri modi. Secondo Mathieu (Cancro in Occidente, Editoriale Nuova), il giacobinismo è appunto questo "misticismo del tutto", questo abbandonarsi alla globalità. Ci si affida ad un dio laicizzato e spersonalizzato, che può ridare certezza ad un uomo logorato dalla stanchezza, dalla paura e dalla rassegnazione.

In tal modo si compie la reificazione totale del singolo, privato di una identità e sottomesso al giogo di una causa ultima, un fundamentum inconcussum veritatis (fondamento indubitabile della verità intesa come certezza assoluta). L'individuo viene assoggettato alla sua stessa volontà di manipolazione del mondo.

E' per questo che Severino può scrivere che "all'interno della cultura essenziale dell'Occidente... l'unico senso che la parola 'verità' può avere è la capacità di dominio, la potenza, il successo, e quindi la capacità di persuadere le masse" (Téchne, Rusconi). Lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e dell'uomo sul mondo, reificando il singolo in utopie collettive (come il nazismo e lo stalinismo), ha portato alla violenza ed allo scontro.

L'antropocentrismo moderno ha dato origine a visioni metafisiche oggettivanti, tra loro in lotta, e capaci di sostenere qualsiasi brutalità in nome di un'utopia. "La metafisica __scrive ancora Severino__ ha preparato la dimora della violenza, ed è anzi la violenza stessa nella sua forma più originaria e più pura". E' la logica stessa della modernità, che essendo basata sull'umanesimo antropocentrico, reca in sé i germi della sopraffazione.

Tuttavia, anche quando la brutalità è più forte e manifesta, occorre mantenere una apertura ad un'ipotesi controfattuale, la Salvezza. Così Montale, di fronte al pericolo nazifascista, ha saputo dire ne La primavera hitleriana:

 

"Forse le sirene, i rintocchi

che salutano i mostri nella sera

della loro tregenda, si confondono già

col suono che slegato dal cielo, scende, vince-

col respiro di un'alba che domani per tutti

si riaffacci, bianca ma senz'ali

di raccapriccio, ai greti arsi del sud...".