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La crisi della società dei consumi

(apparso su "Presenza Sociale", 1991)

 di Paolo Dell'Aquila

 paolo@paolodellaquila.it

 

Nella crisi economica a cui oggi stiamo assistendo, c'è un fenomeno che spesso viene poco enfatizzato dai commentatori: il calo dei consumi. Tutti si aspettano che in un momento di grandi difficoltà come quello che stiamo passando i consumi debbano comunque diminuire, ma in realtà l'entità di questo calo sembra oggi eccessiva, vista la disponibilità finanziaria della famiglia media italiana.

Precisato che vi sono zone più o meno colpite dalla recessione, la reazione naturale è però quella di stupore per il modo repentino in cui si instaurano degli atteggiamenti di de-consumo. Evidentemente, oltre alla crisi economica, vi sono altri fattori che influenzano gli stili di vita. E' in atto, in realtà, una profonda trasformazione della "società dei consumi", che vede un mutamento non solo a livello della disponibilità economica delle famiglie, ma soprattutto del modello culturale che influenza gli acquisti.

Negli anni Ottanta si consumava infatti per ostentare un look, per costruire uno stile personale, per mostrarsi ed apparire. In quel periodo si diffusero i valori "post-materialistici" (R. Inglehart) di autorealizzazione personali, di appartenenza e di stima e di miglioramento dell'ambiente. Contro i bisogni materialisti (di sostentamento e di sicurezza) si affermavano dei bisogni rivolti al perfezionamento dell'io, alla pianificazione della crescita interiore.

Il consumo che si accompagnò alla diffusione di questa cultura fu però profondamente narcisista, incostante, labile. C. Lasch, R. Sennett, G. Lipovetsky ed altri studiosi mostrarono come gli stili di consumo rivalutassero la frammentazione, l'apparire superficiale, la mutevolezza del vestire e del presentarsi. La creazione di look diversi rispondeva spesso ad una pura logica manipolatoria, caratterizzata dalla volontà di prevalere sull'altro. La maggiore attenzione alle relazioni umane, alla qualità ed all'immagine, serviva alla manipolazione dell'altro, che doveva così demarcare l'identità simbolica di un "io minimo" (C. Lasch). I beni diventavano delle immagini che dovevano distinguere (in termini puramente spettacolari) delle identità mutevoli, instabili. In questo senso si può parlare di una fase "mimica" (Morace) del consumo, ove i prodotti dovevano simulare dei valori e delle appartenenze, più che rispecchiarli.

La diffusione della griffe dimostra chiaramente come il consumatore di questo periodo tenda a dare un'immagine quasi pubblicitaria di se stesso, abbandonandosi all'ultramoda, alla ricerche di micro-miti che lo caratterizzino in qualche modo (non foss'altro che per stupire).

In questo contesto si possono capire le forti tendenze a consumare in maniera indiscriminata e mutevole, con scelte reversibili, fatte giorno per giorno e spesso in disarmonia fra loro. Questo immaginario, fondato sul potere dell'apparenza, del meticciato culturale, del bricolage degli stili, viene oggi a spegnersi.

La crisi sistemica più ampia conduce a ridefinire i modelli di consumo, a ricercarne altri più profondi e più equilibrati. Nasce così quello che P. Weil ha denominato (sulla scia di G. Durand) un "immaginario dell'alleanza", in cui gli estremi si amalgamano in modo più armonioso.

Gli elementi materiali e post-materiali, quantitativi e qualitativi riescono e fondersi ed accoppiarsi. Il rinascimento del corpo e della sensorialità si mescola con le nuove tecnologie. Il piacere individuale si autolimita per seguire anche il dovere sociale. Il fisico e lo psichico si ricompongono, alla ricerca di maggiore sobrietà. Il sorgere di diffuse vene "ecologiche", volte ad integrare la prevenzione della malattia, l'autoregolazione dell'organismo e l'immagine esteriore testimoniano proprio questo nuovo immaginario. Sanità e bellezza, apparire e sentirsi in forma riescono a coniugarsi senza divenire frenesia di tutto ciò che è alla moda.

Nell'abbigliamento c'è una nuova combinazione di funzionalità e di immagine, di chic e di sportivo. Razionalità e sensualità si amalgamano in modo più equilibrato e spontaneo. Lo stesso corpo riesce ad integrare più facilmente le componenti organiche, psichiche e sociali.

La diminuzione dei consumi porta all'elaborazione di "progetti di consumo" individuali improntati ad una maggiore autodisciplina e ad una maggiore integrazione di piacere individuali e valori sociali. Per questo il consumo può rallentare, divenire più austero. Diviene più importante la selezione, la coniugazione di qualitativo e quantitativo, l'autogestione più lineare degli acquisti.

Se non si rinuncia al fattore immateriale, soft, esso viene integrato nella ricerca di una maggiore essenzialità a livelli qualitativi più alti. E' in atto, quindi, il ritorno di valori neo-materialistici, che però interagiscono con quelli post-materialistici per trovare nuovi equilibri. La sensibilità latatamente ecologica che caratterizza i consumi italiani (CENSIS) si rivolge in direzione di una crescita interiore che punta alla maggiore armonizzazione di tutta la sfera dell'individuo, dalla alimentazione alla cura di sé, alla prevenzione.

Si va verso una "ecologia del consumo" (Morace) che stimoli il singolo a trovare un rapporto più profondo con gli oggetti. Attraverso la selezione di prodotti ambivalenti, si cerca di non ridurre il corpo ad una maschera di significati esterni, ma alla sintesi di una pluralità di elementi contraddittori che stimolano l'io ad una crescita. I beni diventano cioé maieutici: costringono il consumatore a ritrovare un sé, combinando qualità e quantità, funzionalità e seduzione. Con il nuovo immaginario dell'alleanza si giunge quindi a quella coincidentia oppositorum che permette di ricombinare tendenza in precedenza inconciliabili.

Anche la nuova ecologia del consumo, potrà quindi favorire lo sviluppo di una maggiore coscienza civile, rivalutando un tipo di individualismo che si apre maggiormente ai doveri sociali. La diminuzione dei consumi, gli stili di vita più sobri ed equilibrati, devono permettere ai singoli di svolgere un lavoro a favore della comunità. La necessità di una religione civile, di una maggiore mobilitazione dal basso a favore della partecipazione democratica, è oggi inequivocabile.

E' auspicabile che, equilibrati ed implementati i diversi consumi, si trovi più tempo per una nuova militanza civile, capace di costruire reti di solidarietà sociale. La terza dimensione (il volontariato, l'associazionismo, le cooperative, le reti familiari ed amicali) devono risultare rinvigorite dai nuovi modelli di consumo, perché l'evoluzione culturale non porti a semplice chiusura in se stessi, in rivendicazioni localistiche, corporative o categoriali.

Il nuovo immaginario dell'alleanza va quindi salutato come la nuova possibilità storica che, in un momento di grandi difficoltà, il cittadino ritrovi la capacità di mobilitazione sociale e politica, il senso di responsabilità individuale e collettivo, che il narcisismo degli anni Ottanta ha finito per farci dimenticare.