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La crisi della modernità
(apparso su "Presenza Sociale", 1989)
di Paolo Dell'Aquila
"...C'è
solo Un mondo, ed è falso, spietato, contraddittorio,
seducente, senza senso...Un mondo siffatto è il mondo vero....
Noi non abbiamo
bisogno di menzogna, per ottenere la vittoria
su questa realtà, su questa 'verità', per
vivere.."
Così parlava Nietzsche
alla fine del secolo scorso, precorrendo l'attuale nichilismo, figlio del lungo
movimento storico che si origina con l'età moderna.
La modernità si apre con la promessa
dell'emancipazione: l'individuo si libera dai vincoli feudali di un ordine gerarchico
e distrugge le solidarietà antiche per costruire una
società basata sul contratto, sul calcolo, sullo sfruttamento dell'altro e
della natura. Si scatena la logica del mercato e il fanatismo del guadagno, ed
ha inizio la rivoluzione industriale.
La rivoluzione francese spazza via i corpi
intermedi e pone l'uomo in balia di un potere centrale burocratizzato,
provocando nella popolazione quel senso di sradicamento e di anomia tipico dell'età contemporanea. La rivoluzione
scientifica viene sfruttata per dominare la natura e
si privilegia il sapere quantitativo, meccanicistico e afinalistico.
L'urbanizzazione, l'industrializzazione e la secolarizzazione contribuiscono
alla nascita di un nuovo tipo di uomo: il borghese
calcolatore ed egotista. Si diffonde la fiducia nel progresso e per la prima
volta un'epoca si legittima in quanto
"moderna".
Con Hegel la
storia diventa l'autoconoscenza di uno Spirito che,
incarnandosi successivamente in popoli diversi, giunge
a livelli di perfezione sempre maggiori. Secolarizzando l'idea cristiana di
progresso, Hegel può vedere la storia come una immensa teodicea che conduce
da oriente verso occidente, dalla "polis" greca allo stato tedesco,
dalla schiavitù alla libertà, etc. L'epoca moderna è così la più perfetta
perché‚ ultima nel moto incessante del nuovo Assoluto che è in realtà il
progresso. Nasce il "mito del mondo nuovo", per dirla come Voegelin, cioé la speranza di
costruire una "città perfetta" nella quale l'uomo possa
liberarsi da tutti i condizionamenti sociali e materiali della "communitas" medioevale. Questa utopia tipica del modo
di pensare borghese-individualista si ritrova anche
in Marx.
Per quest'ultimo,
infatti, "tutta la cosiddetta storia universale non è altro che la
produzione dell'uomo ad opera del lavoro umano".
Allo Spirito si sostituisce il lavoro, perdurando però un modo di pensare
basato sul progresso che porterà all'uomo totale, disalienato
(come sostiene Habermas).
E' Nietzsche il
primo a criticare questa concezione della storia. Per lui nel mondo non è più
possibile stabilire gerarchie univoche o parlare di soggetto o
oggetto, apparenza o cosa in sé, perché la realtà è fatta solo di maschere che
rinviano l'una all'altra, senza alcun senso o fine. "Non esiste né
'spirito', né ragione, né pensiero, né coscienza, né volontà, né verità: tutte
finzioni inutilizzabili ". Non vi può essere quindi un fine della storia
ma solo l'eterno ritorno dell'identico, assolutamente privo di significato.
Con Nietzsche si apre il problema della modernità, che solo oggi, dopo una serie di
grossi cambiamenti sociali, esplode in maniera drammatica. I processi
sociali hanno infatti portato ad una radicalizzazione della logica individualistica della
modernità, separando pubblico e privato, uomo-singolo e uomo-comune. Con la nascita
del welfare state e della società di
massa il pubblico è divenuto una struttura rigida e burocratizzata, che
assicura tutti i bisogni materiali dell'esistenza, mentre l'edonismo e tutte le
esigenze vitali si realizzano nel privato.
La polarizzazione tra pubblico e privato non
ha però impedito la loro reciproca mescolanza: il
pubblico invade la sfera privata con l'educazione,la gestione del tempo libero
e dell'informazione, e il privato invade il pubblico con il neo-corporativismo,
le lottizzazioni e i compromessi di vertice.
Si comprende pertanto la schizofrenizzazione
dell'uomo attuale tra la logica strumentale e collettivistica del pubblico e quella individualistico-ludica del
privato. Gianfranco Morra ha parlato di una "narcisizzazione
della società civile", dovuta a questo ripiegamento su se stessi che ha provocato un "mutamento antropologico". L'uomo
d'oggi non crede più nelle grandi verità, ma si accontenta di vivere giorno per
giorno compiendo scelte pragmatiche subito rinnegate. Non c'è più un senso
nella vita né c'è fiducia nell'avvenire: la realtà diviene il presente perpetuo
dell'esistenza quotidiana.
La storia ci uccide e il mito del progresso
cade. Il mondo stesso diventa una struttura labile, creata dai
media e morbosamenta fruita e appiattita.
Si realizza allora una profezia di Nietzsche: il mondo
è diventato favola e "...col mondo vero abbiamo eliminato anche quello
apparente!". Nascono quindi delle filosofie post-moderne che propongono la
"fine della storia" e "la perdita del riferimento luminoso , unico e stabile, cartesiano". Il nuovo
"pensiero debole" si pone quindi tra "la ragione forte di chi
dice la verità e l'impotenza speculare di chi contempla il proprio nulla"
(Rovatti). Il soggetto e il mondo si disintegrano e
l'intera tradizione filosofica viene decostruita.
In tale modo il processo che ha dato origine
alla modernità si compie: l'individualismo degenera
nel narcisismo e il mito del progresso si ribalta nella fine della ragione.
Appare quindi necessaria oggi una scelta di valore nel sociale. Non potremo mai
uscire dalla crisi presente tramite un'opera di tecnologia sociale che si
limiti a riformare lo stato o il mercato, ma occorre riproporre
il problema della responsabilità dell'uomo e quindi del suo impegno nella
società.
Rivalutando il primato della persona,
l'incremento delle attività dei gruppi sociali, la lotta contro il privilegio e
l'inefficienza, le attività del volontariato, si potrà ricostruire quella
comunità organica e pluralistica che la crisi del sociale rende necessaria.